vendredi 24 janvier 2020

UNUS MUNDUS OVVERO IMAGINATIO, MEDITATIO, ORATIO: L'OPERATIVITÀ ALCHEMICA INTERIORE.

Sino a circa il XVI secolo la pratica alchemica era indissolubilmente sia esteriore (al forno) che interiore, come dire due facce della stessa medaglia.
Oggi l'Arte Reale è più materia per dotte disquisizioni che di reale operatività.
Anche fra i pochi "praticanti", prevale o l'aspetto speculativo/dottrinario o quello meramente pratico "al forno", cosa che legittimamente ci fa chiedere, in quest'ultimo caso, se si tratti di meri "soffiatori". 
Interessante sarebbe invece approfondire l'operatività interiore, sia nel suo aspetto teorico che in quello prettamente pratico degli "strumenti", anche in connessione alla pratica esteriore: imaginatio (immaginazione), meditatio (meditazione) ed oratio (preghiera).




Sicuramente se riducessimo l'Alchimia al mero lavoro al forno, come pur fecero certe riletture di cultura positivista, considerandola così null'altro che una protochimica, non avremmo la piena comprensione di ciò che essa invece realmente fu.

È con Herbert Silber prima e poi con Carl G. Jung, che la contemporaneità riscopre la maggiore complessità dell'Alchimia.

Jung nello studio sistematico del simbolismo alchemico  notò la somiglianza dell'immaginario degli  alchimisti e del mondo onirico dei suoi pazienti.
Cosa che fece dire a Jung che gli alchimisti proiettavano i contenuti dell'inconscio sulla "struttura della materia" ed interpretava quindi in chiave psicoanalitica tale processo. (1)



Ciò naturalmente trovò la ferma opposizione, tra gli altri, di Canseliet, Burckhardt ed Évola che gli contestarono proprio la sua idea di un presunto approccio "ingenuo" dell'alchimista all'Opera, quando invece questi ben sapeva cosa faceva.

Sappiamo che in seguito Jung cambierà radicalmente idea, grazie all' intenso scambio epistolare (2) sul concetto di sincronicità con Wolfang Pauli, uno dei padri della fisica quantistica, ed alla scoperta della Meditazione Ermetica con lo studio di Gerhard Dorn (3), "allievo" di Paracelso, in cui ritroviamo il concetto di Unus Mundus, che Jung farà proprio.

L'idea di base di Dorn è la stessa che Jung aveva raggiunto nella sua corrispondenza con il Pauli, che ciò che chiamiamo corpo e ciò che chiamiamo spirito nascano dalla decoerenza (per usare il termine quantistico corrispondente) di uno stato precedente, in cui entrambi formano un uno e dove non c'è separazione tra soggetto e oggetto.

La conclusione a cui giungono i due interlocutori nel loro epistolario è che, dietro sia la materia che la psiche, esista un livello più elementare, che non è né materiale né psichico, ma precedente alla differenziazione tra psiche e materia. 
Jung paragonò questo livello fondamentale della realtà al pleroma gnostico e lo definì una psiche oggettiva , un termine che sostituì così l'espressione "inconscio collettivo" che, all'improvviso, iniziò a sembrare inappropriato. Ed è qui che si troverebbero gli archetipi.
Maestro discepolo alchimia
Se quindi agli inizi dei suoi studi sull'Alchimia, Jung immagina l'operatività dell'alchimista sostanziarsi in una proiezione dei propri contenuti archetipici inconsci nel suo lavoro per realizzare la pietra filosofale (4), finisce, poi, per arrivare a qualcosa di completamente diverso! Vale a dire, alla percezione che l'alchimia avesse una concezione molto più profonda della natura della realtà rispetto alla nostra.


Canseliet, Burckhardt ed Évola non avrebbero avuto nulla di cui lamentarsi.
Qualcosa di simile a quanto immaginato da Baruch Spinoza, che ispirato anche dalle sue conoscenze della Kaballah, concepiva il pensiero (la res cogitans) e la materia (la res extensa) come i due soli attributi (come la luce ed il calore sono due attributi della fiamma) con cui l'essere umano può concepire la sostanza (cioè Dio).
Così si può intuire come per gli antichi l'operatività esteriore, quella al forno, che spesso viene considerata come una forma ingenua di protochimica, fosse intimamente connessa a quella interiore, e che non fosse possibile procedere in una senza praticare anche l'altra.
Difatti l'Alchimia fu sino al XVI secolo connessa al lavoro al forno. 
Solo successivamente si praticò un' alchimia esclusivamente interiore, dove le forme dell' operatività concreta divennero simboliche, analogamente a quanto accadeva contemporaneamente per gli strumenti dell'operatività muratoria che divennero nella nascente massoneria anch'essi simbolici. 
Ma questa moderna alchimia interiore aveva allora ancora strumenti operativi e solo più tardi anch'essa divenne semplicemente speculativa.
Poi l'intreccio tra ambienti ermetici e neoplatonici, connessi alla pratica alchemica, con la nascente massoneria speculativa dal XVI secolo in poi non sono casuali oltre che essere ben noti.
Ma come si sostanziava la pratica interiore degli alchimisti?
Quali gli strumenti dell'Alchimia interiore?

Un esempio di tecnica, conosciuta anche nelle tradizioni ermetica e neoplatonica, ne abbiamo menzione, nell'Estasi Filosofica di Tommaso Campanella. (5)

La realtà dell'operatività degli antichi, però, era molto più vasta di quanto comunemente creduto, ma le fonti sono molto scarse in quanto tali tecniche erano essenzialmente trasmesse bocca/orecchio o espresse in forma velata.
Ciò perché la stessa letteratura ermetica nelle sue forme, non solo simboliche ed allegoriche, ma anche letterali , ad iniziare da quella alchemica, spesso si esprime polisemanticamente. Così quelle che possono sembrare indicazioni di un lavoro esteriore, in realtà lo sono specularmente anche di uno interiore e viceversa.

In realtà le forme del lavoro interiore accennate nel titolo di questo post toccano parzialmente la ricchezza della diversità di tecniche del mondo antico, e nella loro concettualizzazione storica non le definiscono pienamente perché non di rado si confondono e si toccano fra di loro.

Robert Fludd, De praeternaturali utriusque mundi historia 1621

Marsilio Ficinio chiarisce che per immaginatio vera deve intendersi qualcosa di diverso dalla fantasia, cosa ribadita dal Villanova nel suo "Rosarium philosophorum".
In effetti essa può intendersi nelle sue diverse forme tecniche sia come introiezione che come proiezione.
Nel primo caso pensiamo a Proclo ed alla sua teurgia che potremmo per l' aspetto che a noi interessa definire anagogica, ma anche alla pratica di interiorizzare immagini (la cui genesi non è necessariamente razionale/speculativa) come sigilli, allegorie, ecc., non a caso come nella mnemotecnica, spesso arte ausiliare, perché siano mezzi di associazioni, intuizioni, proiezioni di contenuti inconsci...

In Alchimia la funzione motrice è data dall' esperienza del lavoro al forno, che in tal senso è anche un "inganno", come un koan zen, ma che è indissolubilmente legato ad un lavoro interiore, speculare ed intimamente connesso.

Una tecnica eloquente è quella con cui l' alchimista si autoinduce in un stato ipnagogico, quello tra veglia e sonno, caratterizzato da lucidità e consapevolezza in uno stato onirico/allucinatorio dove quanto arriva dalla porta dei sensi e trasfigurato dalla "proiezione" dei contenuti dell'inconscio.
Quindi in questo stato la psiche dell'alchimista diventa il "laboratorio interiore", la imaginatio vera a cui si abbandona, lo strumento della sua meditazione,
Ne troviamo accenni ad esempio in Theobald de Hogelande o in Lullo, ma come suoi praticanti troviamo un insospettabile Isaac Newton, sino ad arrivare alla riscoperta di questa tecnica da parte del movimento surrealista.

Un esempio, tra i tanti, di utilizzazione di simili tecniche tra i surrealisti lo abbiamo in Salvador Dalì.
Non a caso fu un appassionato studioso dell'Alchimia di Lullo e di Paracelso.
Nella sua produzione artistica è evidente quel lavoro interiore con l'immaginatio vera propria dei filosofi ermetici, per i quali tale immaginazione è quel Mercurio, messaggero ed interprete, che consente la comunicazione con il "trascendente".


Dalì trovò nell'autoinduzione in uno stato ipnagogico una fonte inesauribile di ispirazione per le proprie opere, che non di rado trovarono la loro genesi proprio in tali tecniche. Sperimentò vari modi per generare e catturare queste immagini fantastiche.
Una sua tecnica era quella di mettere un piatto di latta sul pavimento e poi sedersi davanti ad esso, tenendo un cucchiaio sopra il piatto. Rilassava quindi totalmente il suo corpo così da favorire l'insorgere del sonno.
Nel momento in cui iniziava a sonnecchiare il cucchiaio gli scivolava dalle dita finendo nel piatto, rendendolo immediatamente cosciente ma ancora in quella fase tra sogno è veglia, in cui cercava di "fissarsi" e quindi in un stato allucinatorio fatto anche da immagini surreali.

Naturalmente la difficoltà di questa tecnica è quella di afferrare consapevolmente quelle che sono fugaci esperienze oniriche, veri e propri micro-sogni, che in genere dimentichiamo appena svegli.


Salvador DalìSogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana, un attimo prima del risveglio.

Un esempio della tecnica di Dalì applicata alla produzione di un'opera d'arte è il "Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana, un attimo prima del risveglio". Il solo titolo è già di per se esplicativo della sua tecnica creativa: molti dei nostri sogni sono stimolati dai suoni, dagli odori o dalle presenze del mondo esterno, come nel caso il suono di un’ape che ci gira intorno mentre dormiamo.
Un indizio interessante di tali "trasfigurazioni fantasmagoriche" nella pratica alchemica la abbiamo negli studi di Marcel Duchamp sul De Distillatione di Giambattista della Porta:


L'androgino alchemico e la copulazione di due alambicchi; il vaso circolare di distillazione appare come un pellicano che si apre il petto per nutrire col suo sangue i suoi piccoli.

Vi è però una differenza sostanziale tra le tecniche degli artisti surrealisti e quelle degli alchimisti, che conoscono una maggiore complessità e varietà, ed è nel fine: le prime mirano a favorire una più ampliata e incredibile creatività artistica, le altre invece ad una gnosi.


Sulla funzione fondamentale dell'oratio alchemica bisognerebbe fare riferimento a quanto dice lo pseudo Fulanelli ne "Le dimore filosofale" quando accenna ad un "artifizio sconosciuto", secretum secretorum, che "segna il bivio in cui la scienza alchemica si allontana dalla scienza chimica (dando così risposta al giusto scetticismo della critica positivista sulla operatività alchemica di realizzare quanto si proponeva).
La chiave di volta, che rende possibile ciò che la scienza ritiene impossibile, è in quel passaggio a cui alludeva Paolo Lucarelli: "quello di trovare o costruire un corpo attrattivo, un magnete che sia in grado di attirare e corporificare lo Spirito".
Chiaramente ci si riferisce allo Spirito Universale, "spirito universale che dà vita e movimento a tutte le membra di questo grande corpo (cioè il Mondo)" (6),  che per i neoplatonico era l'Anima Mundi, per i cristiani lo Spirito Santo.
È il processo di corporificazione dello Spirito il perno dell'operatività alchemica, il cui risultato è quella comunemente detta Pietra Filosofale.
Insomma è per certi versi una immagine della transustazione dell' eucaristia nella ritualità e dottrina cristiana, dove la mera particola si fa corpo di Cristo, del quale il fedele partecipa attraverso il rito della comunione.
Ne conviene che il soffiatore intepreterà, perdendosi e fallendo, le elaborate metafore dell'Alchimia che descrivono tale processo in chiave prettamente di operatività esteriore, "chimica", mentre il vero alchimista la interpreterà anche come un lavoro o alchimia interiore (V.I.T.R.I.O.L.V.M.). 
Ed è qui che acquista importanza l'oratio o preghiera degli alchimisti, funzionale, appunto ad attrarre lo Spirito Universale, che però non va assolutamente confusa con le forme e la sostanza di quella della devozione popolare.
La preghiera è parte essenziale del lavoro dell'alchimista, attraverso essa invoca o meglio evoca lo Spirito del Mondo, che gli infonde la sapienza per realizzare e portare a termine il suo lavoro. Così si concretizza quel "dialogo interiore" che è parte della meditazione alchimistica e che trova nell'immaginazione vera il motore trainante.
A questo punto si apre il dissidio tra chi ha una visione prettamente interiore dell'Alchimia, dove l'operatività al forno non è prettamente necessaria o solo un "ludibrium" a servizio dell'altra, e chi ritiene l'operatività interiore ed esteriore siano intimamente connesse, tanto da essere una riflesso dell'altra, per cui il successo di una suggella in "comunione" quella dell'altra. Così la trasmutazione dei metalli non è solo una metafora per descrivere quella interiore, ma si realizza anche fisicamente.

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Note:
(1) In Carl Gustav Jung, Alchimia e psicologia, 1944.
(2) Atom and Archetype: The Pauli/Jung Letters 1932-1958.
(3) Gerhard Dorn, De Meditativa Philosophia, in Theatrum Chemicum, I, e De Philosophia Chemica ad Meditativam Comparata, 
(4) In Jung la pietra filosofale assume il significato del , fine ultimo del processo di individuazione.
(5) Prattica dell’Estasi Filosofica, testo attribuito a Tommaso Campanella, Biblioteca Nazionale di Firenze contrassegnato come Manoscritto magliabechiano, Classe VIII, codice 6, del secolo XVII:
"Bisogna eleggere un luogo nel quale non si senta strepito di alcuna maniera, all’oscuro o al barlume di un piccolo lume così dietro che non percuota negli occhi, o con occhi serrati. 
In un tempo quieto et quando l’uomo si sente spogliato d’ogni passione tanto del corpo quanto dell’animo. 
In quanto al corpo, non senta né freddo, né caldo, non senta in alcuna parte dolore, la testa scarica di catarro e da fumi del cibo et da qualsivoglia umore; il corpo non sia gravato di cibo, né abbia appetito né di mangiare, né di bere, né di purgarsi, né di qualsivoglia cosa; stia in luogo posato a sedere agiatamente appoggiando la testa alla man sinistra o in altra maniera più comoda... l’animo sia spogliato d’ogni minima passione o pensiero, non sia occupato né da mestizia o dolore o allegrezza o timore o speranza, non pensieri amorosi o di cure famigliari o di cose proprie o d’altri, non di memorie di cose passate o d’oggetti presenti; ma, essendosi accomodato il corpo come sopra, dee mettersi là, et scacciar dalla mente di mano in mano tutti i pensieri che gli cominciano a girar per la testa, et quando viene uno, subito scacciarlo, et quando ne viene un altro, subito anco lui scacciare insino che non ne venendo più, non si pensi a niente al tutto, et che si resta del tutto insensato interiormente ed esteriormente, et diventi immobile come se fussi una pianta o una pietra naturale; et così l’anima non essendo occupata in alcuna azione né vegetabile, né animale, si ritira in se stessa, et servendosi solamente degli istrumenti intellettuali, purgata da tutte le cose sensibili, non intende le cose per discorso, come faceva prima, ma senza argomenti e conseguenze: 
fatta Angelo, vede intuitivamente l’essenzia delle cose nella lor semplice natura, et però vede una verità pura, schietta, non adombrata, di quello che si propone speculare:
 perciocché avanti che si metta all’opra, bisogna stabilire quello che si vuole o speculare o investigare et intendere, et quando l’anima si trova depurata proporselo davanti, e allora gli parrà d’avere un chiarissimo e risplendente lume, mediante il quale non se gli nasconde verità nessuna. 
E allora si sente tal piacere e tanta dolcezza che non vi è piacere in questo mondo che a quello si possa paragonare: né anco il godimento di cosa amatissima e desideratissima non ci arriva a un gran pezzo. In tal maniera che, l’anima pensando d’avere a ritornare nel corpo per impiegarsi nelle vil’opere del senso, grandemente si duole et senz’altro non ritornerebbe mai se non dubitasse che per la lunga dimora in tal estasi si spiccherebbe al tutto del corpo. 
Perciocché quelli sottilissimi spiriti ne’ quali ella dimora se ne sagliano al capo, e però alcuni sentono un dolcissimo prurito nel capo, dove son gli strumenti intellettuali: e a poco a poco svaporano, i quali se tutti svaporassero, senz’altro l’uomo morerebbe. 
Et però sono più atti a quest’estasi quelli che hanno il cranio aperto per la cui fessura possono esalare alquanto gli spiriti: altrimenti se ne raduna tanti nella testa che l’ingombrano tutta et gli organi per così gran concorso si rendono inabili. 
Questa credo che sia l’estasi platonica, della quale fa menzione Porfirio che da questa Plotino sette volte fu rapito, et egli una volta; essendoché di rado si trovan tante circostanze in un uomo: contuttociò in duoi o tre anni potrebbe succedere tre o quattro volte; et quelle cose che allora s’intendono bisogna subito scriverle et diffusamente, altrimenti voi ve le scorderesti, e rileggendole poi non l’intenderesti.
(6) Clovis Hesteau de Nuysement, Les vision  hermétique et autres poèmes alchimiques..., 1650.





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